
Le urne saranno aperte domenica 8 giugno dalle 7 alle 23 e lunedì 9 giugno dalle 7 alle 15. Al solito, sarà permesso di votare a eventuali elettori che si trovino già all’interno dell’edificio del seggio al momento della chiusura.
Per votare è necessario avere con sé un documento di identificazione (con foto) e la tessera elettorale. Se non la trovate, o se non ci sono più spazi disponibili per i timbri, potete chiederne una nuova all’ufficio elettorale del vostro comune di residenza (che sarà aperto anche nei giorni della votazione).
Tutti i referendum abrogativi (cioè, quelli che chiamano la popolazione a decidere se vuole eliminare o mantenere un provvedimento di legge in vigore) prevedono un quorum: ciò significa che il risultato sarà valido soltanto se sarà venuto a votare la maggioranza («il 50% più uno», come taluni amano dire) degli elettori.
Nel caso in cui l’affluenza non superi il 50% degli aventi diritto, quindi, il referendum non ha effetti e la legge in vigore rimane immutata: apparentemente accade la stessa cosa se il quorum è superato e vincono i NO e questo ha portato, negli anni, a una vaga tendenza a identificare le due cose. Tuttavia, i due scenari in cui il quorum non è raggiunto e quello in cui il quorum è raggiunto e vincono i NO non sono affatto identici.
Se vincono i SÌ, il popolo sta dichiarando che vuole abolire quel particolare provvedimento: Governo e Parlamento sono moralmente tenuti a non reintrodurlo, anche se avessero la maggioranza per farlo (è quanto, in passato, è successo con il Nucleare, per esempio).
Se vincono i NO, il popolo sta dicendo che vuole mantenere quel provvedimento in vigore esattamente com’è: questo impegna Governo e Parlamento a non abrogarlo né modificarlo, anche se avessero la maggioranza per farlo (sempre per esempio, è quanto è successo con la legge sul divorzio).
Se invece “vince l’astensione” (cioè, manca il quorum), il popolo sta dicendo che non vuole prendere una posizione in proposito: sarà quindi la maggioranza di governo del momento a determinare l’orientamento in proposito secondo le sue preferenze.
La differenza tra NO e astensione è particolarmente importante nel caso in cui il governo cambi dopo la conclusione del referendum. Un’eventuale vittoria dei NO impegnerebbe anche la nuova maggioranza a non modificare la legge, mentre il mancato raggiungimento del quorum permetterebbe al nuovo governo di modificare la legge a suo piacimento.
Il quorum viene valutato quesito per quesito, perché l’elettore può scegliere di votare soltanto per alcuni (anche uno solo) dei quesiti oggetto di referendum. Potrebbe quindi capitare che alcuni quesiti superino il quorum e altri no, esattamente come può capitare che per alcuni quesiti prevalgano i SÌ e per altri i NO.
QUESITO 1 – Scheda verde
«Contratto di lavoro a tutele crescenti – Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione»
Testo: «Volete voi l’abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante “Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?»
Il quesito propone di abrogare la disciplina vigente che impedisce, nelle imprese con più di 15 dipendenti, di reintegrare lavoratori o lavoratrici licenziati in modo illegittimo, se questi sono stati assunti a partire dal 7 marzo 2015, anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta, o infondata, l’interruzione del rapporto; i dipendenti in questione hanno diritto esclusivamente a un indennizzo compreso fra 6 e 36 mesi di stipendio. Tali norme erano state introdotte dalla riforma Jobs Act, attuata dal governo Renzi nel 2014. Nel caso in cui il referendum venisse approvato, verrebbe ripristinata la precedente normativa, riferita all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970, poi modificato dalla Legge Fornero del 2012: in questo modo, tornerebbe a valere la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro nei casi più gravi di licenziamento, cioè del tutto privi di giusta causa o giustificato motivo, oggettivo o soggettivo.
QUESITO 2 – Scheda arancione
«Piccole imprese – Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale»
Testo: «Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro.”?»
Il quesito propone di abrogare la disciplina vigente che impone un limite all’indennità per i lavoratori e le lavoratrici licenziati in modo illegittimo nelle piccole imprese (con meno di 15 dipendenti), dove in tali casi si può ricevere un risarcimento massimo pari a sei mesi di stipendio, anche nel caso in cui il giudice dichiari ingiusta e infondata l’interruzione del rapporto. Le norme erano state introdotte in parte dalla riforma Jobs Act, attuata dal governo Renzi nel 2014. Nel caso in cui il referendum venisse approvato, la responsabilità di stabilire l’indennizzo verrebbe ceduta al giudice, che stabilirebbe l’ammontare del risarcimento senza limiti economici, ma sulla base di criteri come l’età, i carichi di famiglia e la capacità economica dell’azienda.
QUESITO 3 – Scheda grigia
«Abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi»
Testo: «Volete voi che sia abrogato il d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, avente ad oggetto “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183” limitatamente alle seguenti parti: Articolo 19, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b-bis)”; comma 1-bis, limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “, in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; Articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?»
Il quesito propone di abrogare alcune delle regole vigenti sull’utilizzo dei contratti a termine, che li rendono stipulabili fino a 12 mesi senz’alcun obbligo di causali che giustifichino il lavoro temporaneo da parte del datore di lavoro, nemmeno in un eventuale giudizio. Tali norme erano state introdotte dalla riforma Jobs Act, attuata dal governo Renzi nel 2014. Nel caso in cui il referendum venisse approvato, l’obbligo di indicare il motivo del ricorso ad accordi a termine verrebbe nuovamente esteso anche ai contratti e ai rapporti di lavoro di durata inferiore ai 12 mesi e verrebbe eliminata la possibilità per le parti individuali coinvolte di individuare giustificazioni per la stipula, la proroga o il rinnovo di tali contratti, limitando così il ricorso agli accordi a tempo determinato.
QUESITO 4 – Scheda rossa
«Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell’appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione»
Testo: «Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, in tema di “Obblighi connessi ai contratti d’appalto o d’opera o di somministrazione”, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009, n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?»
Il quesito propone di abrogare la norma vigente che stabilisce la responsabilità solidale di committente, impresa appaltante e subappaltatori negli infortuni sul lavoro, inclusi tutti i casi di infortunio che coinvolgono i lavoratori dipendenti dell’appaltatore o del subappaltatore e privi di copertura assicurativa da parte dell’INAIL o dell’IPSEMA. Nel caso in cui il referendum venisse approvato, la responsabilità di tali infortuni verrebbe estesa anche al committente, che dovrebbe quindi risarcire i danni subiti dai lavoratori anche se derivanti da rischi specifici dell’attività produttiva delle imprese appaltanti o dei subappaltatori.
QUESITO 5 – Scheda gialla
«Cittadinanza italiana: Dimezzamento da 10 a 5 anni dei tempi di residenza legale in Italia dello straniero maggiorenne extracomunitario per la richiesta di concessione della cittadinanza italiana»
Testo: «Volete voi abrogare l’articolo 9, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole “adottato da cittadino italiano” e “successivamente alla adozione”; nonché la lettera f), recante la seguente disposizione: “f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica.”, della legge 5 febbraio 1992, n. 91, recante “Nuove norme sulla cittadinanza”?»
Il quesito propone di abrogare alcune delle norme vigenti relative alla concessione della cittadinanza italiana ai cittadini di origini straniere, stabilite dalla legge nº 91 del 1992, per cui gli stranieri maggiorenni adottati da italiani possono richiedere la cittadinanza dopo cinque anni di residenza (art. 9, comma 1b), mentre tutti gli altri stranieri provenienti da Paesi extra-UE devono aver risieduto legalmente per almeno dieci anni nel Paese al fine di fare domanda (art. 9, comma 1f). In quest’ultimo caso, i minori di origini straniere che non hanno già acquisito la cittadinanza tramite i genitori, per ius sanguinis, devono attendere di compiere 18 anni e, al momento della domanda, dimostrare di aver sempre vissuto in Italia. Nel caso in cui il referendum venisse approvato, l’articolo 9 verrebbe modificato, cancellando parte del comma 1b (le specifiche sull’adozione da cittadini italiani) e tutto il comma 1f, riducendo così da dieci a cinque anni per tutti i cittadini stranieri maggiorenni il periodo di residenza legale in Italia necessario a chiedere la cittadinanza italiana. In questo modo, verrebbero ripristinati i requisiti stabiliti per la prima volta dal codice civile del 1865, e il diritto di cittadinanza verrebbe esteso anche ai figli minorenni dei richiedenti; comunque, verrebbero mantenuti tutti gli altri criteri necessari a presentare la domanda, e cioè la conoscenza della lingua italiana, il possesso negli ultimi anni di un adeguato reddito, il pagamento regolare delle tasse nel Paese e la fedina penale pulita.
Bene, spiegato molto bene si spera che i Sampietrini partecipino alla grande. Come si dice ; se devono da na mossa. Saluti e grazie
Grazie mille, Riccardo. È esposto molto chiaramente. È stato apprezzato anche da altri a cui l’ho passato.